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29 maggio 2025

Interventi e commenti

Caro Sapiens, ti scrivo

Adele De Prisco sull'importanza di affidare fatti, pensieri ed emozioni alla scrittura affinché se ne conservi memoria

Caro Sapiens, ti scrivo

È, questo, il titolo della puntata della trasmissione televisiva Sapiens, un solo pianeta, condotta dal geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi ed andata in onda lo scorso 17 maggio 2025 sul canale TV Rai3.

Solitamente la sera preferisco leggere un libro al guardare la tv, ma in questo caso ho fatto un’eccezione alla regola, poiché il programma mi ha avvinta, coinvolta ed affascinata! Credo ciò sia avvenuto non solo per le capacità del regista e del conduttore di incuriosire e tenere vivo l'interesse del telespettatore, ma anche perché il contenuto della puntata mi è apparso molto attinente al mio lavoro di formatrice e divulgatrice dei temi della salute e sicurezza.

Al pari di me, so che anche voi, cari socie e soci, siete quotidianamente impegnati a comunicare e a diffondere, anche attraverso la parola scritta, i valori della prevenzione e protezione in ogni ambiente di vita e di lavoro. 

In questo editoriale pertanto, affidando il mio messaggio alla scrittura, desidero condividere con voi una mia considerazione su un aspetto della comunicazione sul quale ho particolarmente riflettuto e che ritengo ci riguardi da vicino, poiché siamo anche noi spesso alla ricerca di nuovi  livelli linguistico-espressivi, parole ed immagini, simboli e rappresentazioni per rendere più  comprensibili, più efficaci e più memorizzabili i nostri messaggi quotidiani.

La scrittura è una delle più grandi invenzioni del Sapiens: attraverso di essa possiamo raccontare storie, soddisfacendo così il nostro bisogno di affidare fatti, pensieri ed emozioni alla scrittura affinché se ne conservi memoria.

Inventare è un verbo che ci appartiene: il Sapiens inventa storie, ma anche i modi di comunicarle.

I bambini parlano in farfallino, un gioco linguistico, che consiste nel raddoppiare ogni vocale con l'aggiunta di una f interposta: per esempio, a diventa afa, e diventa efe, e così via (quindi la parola ciao diventa cifiafaofo). Esiste anche una variante dell’alfabeto farfallino che consiste più semplicemente nell'inserire una "f" dopo ogni sillaba. Tale alfabeto prende il nome di farfallino, perché le parole impiegate secondo questo schema hanno un suono simile a quello della parola farfalla.

Il grammelot è, invece, un linguaggio scenico che non si fonda sulla successione di parole di senso compiuto, ma riproduce alcune proprietà del sistema fonetico di una determinata lingua (come l’intonazione, il ritmo, le sonorità, le cadenze, la presenza di alcuni foni particolari) e le ricompone in un flusso continuo, che assomiglia a un discorso e invece consiste in una rapida e arbitraria sequenza di suoni. È dotato di una forte componente espressiva mimico-gestuale che l’attore esegue parallelamente alla vocalità. L’attribuzione di senso a un brano di grammelot è perciò resa possibile dall’interazione tra i due livelli che lo compongono, quello sonoro e quello gestuale. Come ha scritto il drammaturgo italiano Dario Fo, “La prima forma di grammelot la realizzano senz’altro i bambini con la loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con farfugliamenti straordinari, che fra di loro intendono perfettamente!”.

Una tecnica vocale tipica della musica jazz è poi lo scat, che consiste nell'imitazione del fraseggio strumentale. Non prevede l'uso di parole compiute, bensì di sillabe scelte in base al loro suono e all'andamento ritmico e melodico della frase eseguita. Da un punto di vista fonatorio lo scat si avvale di un'infinita varietà di suoni, svincolati da linguaggi convenzionali. Una diffusa leggenda attribuisce l'invenzione dello scat a Louis Daniel Armstrong. Egli avrebbe raccontato di aver avuto l'idea di cantare sillabe senza senso quando, nel 1926, durante una registrazione della canzone Heebie Jeebies, il brano che stava leggendo gli cadde dal leggio e dovette, quindi, inventare un modo per continuare a cantare. La veridicità di questo racconto è stata smentito, ma è evidente ai più che Armstrong sia stato uno dei principali artefici della diffusione dello scat a partire dalla metà degli anni venti del secolo scorso.

Oltre a nuovi modi di comunicare, il Sapiens ha ideato anche scritture e lingue singolari.

C’è chi ha inventato una scrittura in virtù di visioni mistiche. È il caso nel dodicesimo secolo della badessa Ildegarda di Bingen, alla quale dobbiamo una scrittura, la cosiddetta lingua ignota, che utilizza un alfabeto di 23 lettere, definite dalla stessa autrice litterae ignotae. Sotto l'aspetto grammaticale, la lingua ignota di Ildegarda sembra essere una parziale rilessificazione della lingua latina. La lingua ignota è stata ideata, infatti, adattando un nuovo vocabolario alla grammatica latina preesistente.

C’è chi lo fa fatto per questioni etniche, come Sequoyah, anche conosciuto con il nome di George Guess, un nativo americano Cherokee, che, nel 1821, senza sapere né leggere né scrivere, ha inventato il sillabario cherokee, un sistema di scrittura nel quale ciascun simbolo rappresenta una sillaba anziché un singolo fonema.

Più di mille disegni popolano il mondo immaginario del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, in cui animali, piante, oggetti e macchine si compongono e scompongono al servizio della fantasia. Si tratta di una sorta di classificazione per rappresentare ciò che non è reale e vanificare, quindi, il concetto stesso di classificazione. Quella dell’artista Serafini è una scrittura non scrittura, perché i segni sono liberi dalla necessità di esprimere un significato e, quindi, restano indecifrabili. “È un tentativo di poter far rivivere agli adulti una sensazione che tutti abbiamo sperimentato da bambini e stavamo incominciando a scrivere ed a leggere”, racconta l’autore del Codex.

Invece le lingue elfiche inventate dallo scrittore inglese John Tolkien, pur attingendo dal regno della fantasia, si traducono in scritture con una propria grammatica e sintassi. Delle venti che egli ha inventato, le più note sono la Quenya, la lingua dotta e sapiente degli elfi del perduto ovest ed il Sindarin, la lingua degli elfi della Terra di Mezzo. 

Dalla letteratura alla musica alla vita quotidiana, quindi, inventare lingue e scritture fa parte della storia del Sapiens e, a mio avviso, aspetto ancor più interessante ed affascinante, sempre con lo stesso comune denominatore: l’utilizzo dell’immaginazione per creare mondi nuovi e, forse, migliori.

Se è vero quindi che, secondo l'autorevole parere di Jorge Luis Borges, “scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio”, lasciamoci ispirare anche noi, nel nostro esprimerci quotidiano, da sogni, immagini, visioni e rappresentazioni di mondi più sani, sicuri ed umani per tutti, sperando che tutto questo possa per davvero tradursi in realtà.

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