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27 gennaio 2025

Interventi e commenti

Un'esperienza che lascia il segno

Di Elisabetta Maier, Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni specializzata in Ergonomia e Fattori Umani e Ignazio Salvatore Samannà, Interprete - traduttore e docente di lingua dei segni italiana LIS e LIST dc assistente alla comunicazione e all’autonomia scolastica per le disabilità sensoriali

Un'esperienza che lascia il segno

“La vita, anche quella del formatore, è fatta di crisi.”
[Amedeo Cencini]1

Pur non essendo una “sempre in crisi”, come direbbe Cencini, la mia storia professionale è sempre stata tratteggiata da momenti in cui vacillano le certezze sul mio sapere e sulla mia efficacia. Mi piace pensare che dipenda dall’'effetto Dunning-Krueger chissà …
Col tempo, e con grande applicazione, ho imparato a sostare in queste crisi, senza fretta di svincolo, ascoltando con amorevole gentilezza le difficili emozioni che emergono dal fallimento, e grazie ai miei errori ho spesso fatto dei salti di crescita.
Quella che sto per raccontarvi è una di quelle volte.

Succede che un giorno arriva da AiFOS una nuova richiesta di collaborazione per un corso di aggiornamento lavoratori, e fin qui niente di particolarmente atipico.
Al momento però la mia agenda è piena all’inverosimile e, siccome stò lavorando sodo per resistere al famoso “bias cognitivo del libero professionista” noto come al lavoro non si dice mai di no, ascolto la proposta ripetendomi “non hai spazio, non hai spazio, non hai spazio”; tuttavia il bias è più forte della mia volontà:

  • l’argomento è “gestione dei rischi psicosociali”
    • gioco in casa, l’extra effort progettuale è ridotto al minimo;
  • l’intervento durerà solo 3h e sarà on-line
    • voglio morire ma sono comoda, nessun tempo morto per la trasferta e massima conciliazione con altri impegni pregressi;
  • sarà un one-to-one
    • circostanza che personalmente apprezzo poiché trasforma la formazione in una vera e propria consulenza individuale, quasi un coaching.

Ma al bias si aggiunge il fascino della novità e della sfida: la partecipante, di una grossa azienda, sarà con una persona sorda (perché è così che si dice), e la formazione sarà mediata da un prestigioso interprete LIS - Lingua dei Segni Italiana.
Non mi è ancora mai capitata una simile occasione, non posso perdermi questa opportunità!

Dunque accetto la proposta, con grande entusiasmo e senza troppo stress, alla soglia dei 50 anni sono abbastanza self confident, e sento di avere tutto sotto controllo: l’argomento è il mio, la relazione one-to-one è per me pane quotidiano, ho anche l’interprete a supporto, nulla può andare storto … e invece è stato un vero disastro!

Beh un vero disastro forse non proprio, ma decisamente questa esperienza ha generato in me un Cambiamento di tipo 2, ossia una di quelle esperienze che determinano per sempre un prima e un dopo. E siccome dopo 25 anni di onorato servizio trovarsi a reimparare come si fa il proprio mestiere non è cosa da poco, ho pensato potesse essere utile, per me sicuramente e magari per qualcun altro, condividere ciò che mi ha disorientata e fatto scoprire nuovi territori di cui non avevo, ancora, le giuste mappe.

Come sappiamo, la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro deve essere “sufficiente e adeguata alla natura dei rischi” ma anche “facilmente comprensibile per i lavoratori per consentire loro di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie in materia di salute e sicurezza”.

Rendere la formazione “facilmente comprensibile” non è mai cosa banale e scontata: implica l’esistenza di un sistema condiviso di significanti e di significati. In parole semplici, affinché ci si possa comprendere gli uni con gli altri, occorre, ad esempio, che quando si pronunci la parola STELLA (significante = insieme di suoni prodotti) tutti pensino alla medesima cosa (significato = immagine che si genera nella mente associata a quel significante).

Un primo ordine di problemi nasce, quindi, quando non le persone non condividono lo stesso insieme di significanti, ad esempio nel caso in cui non parlino la stessa lingua. Dunque, per rendere la formazione in materia di salute e sicurezza facilmente comprensibile affinché le persone che non parlano la lingua italiana possano successivamente fruire i messaggi scritti e comandi verbali, spesso si ricorre a opuscoli scritti nella lingua madre del partecipante o alla verifica (test) della comprensione della lingua italiana. Tuttavia, la sola traduzione linguistica dei contenuti da sola non è sufficiente a incidere di fatto sulla percezione del rischio e sulla trasformazione dei messaggi veicolati nella formazione in comportamenti successivamente agiti nella modalità desiderata.

Un secondo ordine di problemi nasce, quando le persone non assegnano allo stesso significante un medesimo significato, ad esempio quando la stessa parola genera pensieri diversi e contrari. Dunque, per rendere la formazione in materia di salute e sicurezza facilmente comprensibile affinché persone con riferimenti culturali diversi condividano uno stesso insieme di valori intorno al concetto di salute e sicurezza, leva fondamentale per aumentare la percezione del rischio e la motivazione al comportamento sicuro, le aziende virtuose si avvalgono di mediatori linguistici.

Ora, venendo alla storia di cui vi voglio parlare, questa esperienza mi ha insegnato e mi sta insegnando molte cose, ad esempio che la mera presenza in aula di un interprete non è assolutamente sufficiente, e che non mai, davvero mai scontato che due interlocutori assegnino lo stesso significato alla stessa parola, o concetto, o situazione, …

Chi mi conosce sa quanto, grazie ad una lunga e proficua collaborazione con AiFOS, mi sono interessata a codificare, applicare e trasmettere ad altri formatori apposite premesse epistemologiche, tecniche d’aula e strategie formative capaci di facilitare l’apprendimento in materia di salute e sicurezza per rendere la formazione un vero e proprio dispositivo di prevenzione e protezione. Potete dunque ben immaginare il mio sgomento nello scoprirmi alquanto inadeguata in questa situazione specifica, direi quasi un caso limite:

  • come mai le parole che solitamente utilizzo con buona efficacia, e per tanto sono diventate un pò i miei cliché, sono così impegnativi da interpretare nella Lingua dei Segni Italiana?
  • come si costruisce una comunicazione efficace e fruibile con una persona sorda?
  • come si stabilisce una relazione empatica on-line, capace di catturare e rendere sostenibile l’attenzione di una persona sorda?

Di seguito, il Dott. Ignazio Salvatore Samannà inizia a darci alcune riflessioni stimolo.

  • Per quanto è possibile non essere gelosi e detentori esclusivi del materiale che verrà proposto durante l’arco di formazione, ma in primis anticiparlo e condividerlo con l’interprete professionista, perché possa conoscere l’argomento e se serve cercare e documentarsi su segni settoriali specifici qualora lo richieda l’argomento.
  • La condivisione non impoverisce, tutt’altro, arricchisce il momento di formazione anche con dinamiche mai pensate ma sicuramente adatte agli interlocutori.
  • Non esiste una sola tipicità di sordità, ma esiste il sordo segnante, il sordo oralista, il sordo bimodale, il sordo bilingue, il sordo ipovedente segnante e il sordo ipovedente oralista.
  • Quindi costruire gli interventi formativi per quanto più possibili accessibili creando anche i sottotitoli.

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